La chiesa si innalza all’ingresso ovest dell’abitato di Lozzo, frazione montana del comune di Maccagno con Pino e Veddasca, a una quota di 850 m s.l.m. circa. L’edificio è frutto di una ricostruzione integrale non documentata, ma certamente ottocentesca. La facciata è classicheggiante, con una coppia di lesene all’estremità e frontone triangolare. Interessante il protiro, retto da colonnine doriche e percorso da un fregio a triglifi. L’interno è impostato su un’unica navata, con due cappelle per parte, pareggiate in altezza alla navata, estradossate e coperte con volta a botte. Queste configurano una sorta di transetto, come conferma la scelta dell’ignoto progettista di gettare, davanti al presbiterio e alle cappelle, una cupola ribassata. Il presbiterio si conclude in un’abside a terminazione curvilinea. La sagrestia si sviluppa a valle della chiesa, con accesso dal presbiterio. L’edificio è orientato.
XVI – L’abitato di Lozzo e quello, vicino, di Biegno, nell’alta Valle Veddasca, possedevano un’antica chiesa in comune, attestata già nel 1233 e costruita a metà strada tra i due villaggi, in luogo ancora individuabile nelle mappe ottocentesche. Questa chiesa fu abbandonata allorché S. Carlo incoraggiò le due comunità a dotarsi ciascuna di una propria chiesa, entro i limiti dell’abitato. Quella di Lozzo assunse, dall’antica, l’intitolazione a S. Maria (variamente attestata in alternanza con quella a S. Sebastiano) e fu consacrata dal medesimo Borromeo il 27.VIII.1581. Nel frattempo, Biegno e Lozzo erano stati inclusi nella parrocchia di Armio (1565) per poi essere riuniti, ancora per ordine di S. Carlo, in un’unica cura d’anime e temporaneamente subordinati alla parrocchia di Curiglia (1574), sull’altro versante della valle. Infine, nel 1596, Federico Borromeo enucleò le due comunità da Curiglia per configurare, finalmente, una realtà dotata di autonomia.
XVII – Nel 1683 un visitatore diocesano descrisse con precisione un impianto cultuale coerente con l’attuale e rispettato nella radicale ricostruzione ottocentesca. La chiesa, infatti, oltre a un altare maggiore, possedeva già a quella data due altari laterali. Quello a sinistra del presbiterio era dedicato a S. Antonio abate, e il visitatore riprovò che il custode fosse una donna, come peraltro non raro in ambiti montani profondamente segnati dall’emigrazione e dalla quasi totale assenza di uomini per lunghi periodi dell’anno. Tuttavia, l’edificio era di ben altra natura, come documenta la visita del card. Giuseppe Pozzobonelli (1748): “Ecclesia in duas naves distinguitur”. Evidentemente, per cercare di aumentarne la capacità, la chiesa cinquecentesca era stata interessata da un raddoppio effettuato giustapponendo una navata al corpo esistente. Nel 1748, la navata principale era coperta di volte, come già rilevato nel 1683, quando, tuttavia, non si era accennato alla doppia configurazione.
1758 – Il card. Giuseppe Pozzobonelli emanò alcuni decreti per gli altari laterali della chiesa di Lozzo (quello a destra era allora dedicato alle Anime del Suffragio), chiedendo che fossero cinti da balaustre o cancelli. Forse questo agì da stimolo per la comunità locale che, nel 1759, inoltrava alla curia di Milano il permesso di benedire la rinnovata cappella dedicata a S. Antonio, terminata “secondo il decreto spedito lo scorso luglio”, ossia nel 1758. Quanto all’altare maggiore, in legno nel 1748, fu ripensato in marmi policromi nel corso della seconda metà del XVIII sec., come si presenta oggi. Peccato non poterne attribuire la paternità a qualcuna delle botteghe di Viggiù o Saltrio attive nella zona tra Varesotto e Ticino.
XIX – L’attuale chiesa è frutto di una ricostruzione operata nel corso del XIX sec. Soppressa la scansione a due navate (documentata nel 1748), l’edificio si presenta a navata unica, con due ampie cappelle laterali affrontate prima dell’altare. All’innesto con queste cappelle, le murature d’ambito piegano a 45°, assumendo quasi l’assetto di un transetto e preparando lo slancio della cupola, ribassata e non estradossata. Lo schema è replicato pedissequamente dalla parrocchiale di Luino (1836-40), da cui deriva persino il tema delle semicolonne abbinate a reggere la cupola e, con nicchie interposte, collocate come scansione delle campate interne di aula e presbiterio. Tuttavia devono ancora essere recuperati documenti in appoggio a un possibile intervento del medesimo architetto: Natale Pugnetti di Garabiolo. Manca anche la possibilità di collocare cronologicamente la ricostruzione che interessò la severa facciata, centrata da un protiro di sapore tardo neoclassico.