La chiesa di San Clemente sorge alla sommità di un monte (600 metri circa slm) da cui si abbraccia uno dei più imponenti panorami del bacino centrale del Lago Maggiore, con le coste sovrastate dai picchi innevati delle Alpi. Per via della posizione strategica, il luogo è abitato sin da tempi remoti, come dimostra un’urna romana (I-II sec. d.C.) dissotterrata nel 1968 e ora custodita all’interno dell’oratorio. Il reperto ha fatto ipotizzare l’esistenza di una masserizia di una certa articolazione, forse la stessa su cui sarebbe sorta una “curtis” documentata nel IX sec. Mancano, però, studi approfonditi: sono scomparse un’altra chiesa (attestata nel XIII/XIV sec.) e dedicata a san Nicola, la canonica annessa al S. Clemente, una cappella di S. Giovanni precocemente adibita a battistero, mentre altri resti (in parte inglobati nell’attuale costruzione) attendono una corretta identificazione in un contesto di probabile fortificazione del sito, forse già in epoca franca. La località, del resto, è da secoli cerniera tra diverse realtà geografiche, sociali e, quindi, amministrative: confine tra comunità (poi tra comuni: nelle prime fonti medievali disponibili la cappella è variamente attribuita a Sangiano, Caravate, Mombello, Leggiuno, ecc.) e tra realtà spirituali piccole (le parrocchie di Sangiano e Caravate) o grandi. La chiesa, ancora oggi, ricade infatti nel territorio del comune di Caravate che ricade a sua volta nell’ambito della diocesi di Como; l’oratorio di S. Clemente, invece, è stato da sempre rivendicato dalla pieve di Leggiuno, quindi di pertinenza dei vescovi ambrosiani. Non sono mancate le diatribe, spesso risolte in aspri scontri tra le diverse fazioni per rivendicarne l’appartenenza, sino alla vera e propria “battaglia” sostenuta nel 1566 a suon di bastonati e colpi di arma da fuoco. La chiesa attuale è suddivisa in quattro settori, frutto di diverse fasi costruttive: il presbiterio è originario, probabilmente della metà del X sec. Vi si ammirano consistenti settori di un pavimento a tessere di pietra a motivi geometrici, “d’una singolare, toccante rusticità”; quindi, a destra dell’altare moderno, lacerti di affreschi forse del XII-XIII sec. Il coro è preceduto da un ambiente coperto con una volta a botte in pietra fortemente ribassata per ospitare un locale superiore, per alcuni avanzo delle fortificazioni sorte nei secoli nei luoghi e poi inglobati nella chiesetta quando vi fu giustapposto l’avancorpo che accoglie il visitatore entrando in chiesa, un’ambiente elevato in altezza e coperto con capriate a vista. L’ultima fase edilizia della chiesa risale al 1969, quando fu ricostruita l’abside in forma semicircolare sul modello dell’antica, persa durante il XIX sec.
X – Silvano Colombo, nel 1972, aveva già proposto un indiscutibile termine cronologico per la datazione delle porzioni più antiche della chiesa, limitate a una porzione di muro presbiteriale dove una finestra “quasi a doppio strombo, con archivolto in laterizio […] rinvia alle origini delle finestre romaniche a doppio strombo e si può datare alla metà del secolo X”, soprattutto per confronto con esemplari si simile fattura nel S. Pietro di Gemonio. L’autore era fermo anche nella datazione del litostroto rinvenuto durante scavi eseguiti nel 1969, reperto “d’una singolare, toccante rusticità” i cui stilemi decorativi presentano ancora un rimando alla decorazione dell’altere della chiesa di Gemonio. Il rinvenimento del mosaico, tuttavia, aveva suggerito ad alcuni aperture più addietro nel tempo, ad età carolingia, forse sulla scorta della suggestione derivante da altri reperti d’età antica o tardo antica rinvenuti durante le medesime campagne di scavo.
XII – Complessa è, invece, la ricostruzione delle fasi di ampliamento, che portarono a giustapporre alla chiesa un corpo unitario all’esterno, ma suddiviso in due ambienti profondamente differenti all’interno. Il presbiterio antico, infatti, è preceduto da una galleria a botte ribassata con un locale superiore, raggiungibile tramite una scala esterna, che si affaccia con una finestra su un avancorpo d’ingresso, coperto con capriate lignee a vista. La discontinuità muraria tra i due settori è evidente, così come la differente funzione in origine. Per alcuni, infatti, il primo settore rappresenta l’avanzo di una fortificazione (di epoca franca?) poi inglobata tra XII e XIII sec. nella costruzione così come si presenta oggi.
1859 – Il catino absidale, probabilmente coevo ai settori più antichi del presbiterio ancora visibili, fu distrutto durante l’acquartieramento nella chiesa di soldati austriaci, durante la campagna del 1859 che vide le truppe degli occupanti impegnati su più fronti lungo la riva orientale del Verbano. In seguito, il settore orientale della chiesa fu ricostruito con andamento rettangolare in pianta.
1968 – Alla fine degli Anni Sessanta del XX sec., su iniziativa di Alberto Lotti, sorge un comitato spontaneo finalizzato ai restauri dell’edificio sacro. Ne derivò una campagna di scavi (1968), che portò a interessanti recuperi in parte qui già menzionati, e a un progetto di ricostruzione dell’abside semicircolare, riprendendo idealmente l’impostazione originaria, che fu messo in cantiere nel 1969.
1983 – Nel 1982, l’associazione “Pro San Clemente”, erede delle precedenti iniziative, promuove una campagna di restauro conservativo della chiesetta conclusa nel 1983: rifacimento pavimento dell’aula fedeli; ripristino delle coperture; posa di nuova pavimentazione e di mensa centrale nell’area presbiteriale.