La Chiesa di Sant’Alessandro in Zebedia è uno stupendo esempio di arte barocca in Lombardia.
Prende il nome da un carcere d’età romana, “di Zebedia” appunto, tradizionalmente indicato come il luogo di prigionia del martire sant’Alessandro, poi patrono di Bergamo. Sant’Alessandro è stato un soldato romano che si rifiutò di uccidere i cristiani durante le persecuzioni volute dall’imperatore Massimiano nel 300 d.C. e che nella sua vita cercò di portare la parola di Dio attuando una vera e propria opera di conversione alla fede cristiana degli abitanti della città di Bergamo.
Nel presbiterio e nell’abside infatti troviamo degli affreschi che narrano la vita e il martirio di Sant’Alessandro che viene rappresentato come un vero e proprio eroe e grande esempio di fede.
La chiesa progettata da Lorenzo Binago e Francesco Maria Richino per l’Ordine dei Chierici Regolari di San Paolo, detti “Barnabiti”, che ancora oggi la custodiscono, è stata costruita nell’arco di tutto il Seicento, il secolo della Riforma Cattolica.
La pianta a croce greca inscritta in un rettangolo, il prospetto della facciata, così come la suddivisione dello spazio interno avvicinano l’edificio a celebri basiliche della Roma barocca e l’accostamento è voluto.
A Milano – città avamposto della Penisola così prossima geograficamente ea quanto avveniva oltralpe – un ordine religioso non poteva che ribadire, anche nelle scelte artistiche, il legame con la sede di Pietro, con la Chiesa di Roma.
Da qui l’insistenza della decorazione pittorica, con cicli di affreschi di Santi che coprono tutte le mura fin sulla magnifica cupola ricoperta da una visione del “Paradiso”, l’abbondanza di confessionali (ben dodici!) e la sontuosità delle cappelle laterali, commissionate da nobili famiglie milanesi.
Ovvero i Santi, i sacramenti e la storia degli uomini del tempo che arricchiscono la chiesa di opere d’arte affidandole a Procaccini, Crespi, Bianchi, Abbiati e molti altri: tutti segni di una fede incarnata nella storia degli uomini. A chiudere la visita – e suggellare il messaggio artistico che ancora oggi veicola la chiesa – è la controfacciata con due scene dal Vangelo di Luca raffiguranti la parabola del figliol prodigo e quella della pecora smarrita.
Dopo aver ammirato tante immagini di donne e uomini, in gloria, in penitenza, in ricerca o in contemplazione, accompagnati da angeli e prodigi, l’ultima immagine che attende il fedele o il turista è quella che rivela chi è davvero Dio: un padre che aspetta il ritorno del figlio che si è allontanato e cerca chi è perduto, fosse anche l’unica cosa di cui va in ricerca e 400 anni fa come oggi questa rimane la novità più sorprendente.
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