Chiesa di Santa Maria presso San Satiro (Milano)

Diocesi di Milano - chiesa sussidiaria - Lombardia

via Speronari, 3 - 20123 Milano

02.8057148

Il nucleo più antico del complesso fu fondato nel IX secolo per volere di Ansperto, vescovo di Milano, come una piccola chiesa dedicata a san Satiro, san Silvestro e sant’Ambrogio.

L’anno esatto della fondazione risalirebbe all’876 secondo lo storico medievale Filippo di Castelseprio all’868 secondo quanto riportato da Serviliano Lattuada nella sua Descrizione di Milano, all’869 secondo la Historia Patriae dello storico milanese Tristano Calco.

La presenza di tale chiesetta è citata in documenti datati 972, 1087 e 1103, in cui viene confermata la giurisdizione dei monaci benedettini di Sant’Ambrogio sul piccolo edificio di culto e sullo xenodochio annesso

Di natura più incerta è invece la presenza di una chiesa precedente, separata dal sacello, sull’area dell’attuale Santa Maria presso San Satiro: tale edificio sarebbe confermato da un documento in cui viene descritta la consacrazione di una chiesa impartita da Ariberto da Intimiano in quell’area nel 1036. 
Tale chiesa tuttavia non compare in un documento datato 1466 dove venivano elencate le chiese cittadine dell’epoca. Risalirebbe al 1242 l’avvenimento miracoloso che vide l’immagine della Vergine con Bambino, posta all’esterno del sacello, sanguinare in seguito ad una coltellata infertale da un giovane squilibrato, tale Massazio da Vigolzone: l’immagine restò esposta su un altare all’esterno del sacello, fino a quando circa due secoli più tardi fu decisa la costruzione di un tempio in cui ospitare l’opera.

Acquistati i terreni nel 1474, i lavori per la costruzione della nuova chiesa iniziarono nel 1478 per volere del duca Gian Galeazzo Sforza e della madre reggente Bona di Savoia, con il duplice obiettivo di consolidare il culto mariano e di abbellire la città con un edificio monumentale di pregio l’ingaggio dell’architetto urbinate Donato Bramante avvenne solo tra il 1480 e il 1482, mentre è attestata al 1483 la prima commissione per la decorazione interna allo scultore di scuola padovana Agostino Fonduli, quando la struttura muraria era già stata completata.

Nel 1486 furono iniziati i lavori per la decorazione della volta, mentre nello stesso anno venne assunto Giovanni Antonio Amadeo per la realizzazione della facciata, che vide completato soltanto lo zoccolo e non fu mai terminata.

Un’ipotesi suggestiva, derivata da alcuni progetti presenti nel codice Ashburnham, suggerisce la presenza di Leonardo Da Vinci nei cantieri di restauro del sacello di San Satiro, eseguiti tra il 1492 e il 1499: i progetti leonardeschi non vennero però mai eseguiti a vantaggio della soluzione del Bramante. I lavori per la decorazione esterna della chiesa vennero definitivamente conclusi nel 1518.

La cronologia dei lavori della chiesa dopo i primi anni del Cinquecento è meno esaustiva rispetto a quella dei primi anni, tuttavia nel 1569 il cardinale Carlo Borromeo durante una visita pastorale annotò la presenza nella chiesa di quindici “cappelle”, termine che all’epoca poteva indicare anche la semplice presenza di un piccolo altare decorato con una pala: decorazioni per la maggior parte andate perdute.

Con l’operato del cardinale Borromeo e l’avvento in città del nuovo ciclo artistico legato alla Controriforma, la chiesa perse gradualmente importanza e considerazione nel patrimonio artistico cittadino, tanto che l’edificio non compare in nessuna delle numerose raffigurazioni di edifici cittadini dei due secoli successivi.

La chiesa non subì quindi particolari interventi, eccezion fatta per la rimozione di una serie di statue pericolanti del Fonduli sul cornicione della cupola, fino al XIX secolo, quando fu soggetta a tre restauri con cui vennero aggiunti l’altare maggiore e l’affresco della lunetta del finto coro. Sempre nel XIX secolo, a opera dell’architetto Giuseppe Vandoni, furono rifatti l’ingresso della sacrestia, il fonte battesimale e la facciata.
Contemporaneamente al rifacimento della facciata vennero presentate le proposte per il rifacimento dell’angusto spazio antistante alla chiesa.
Tra i vari progetti presentati fu scelto ancora una volta quello del Vandoni, che prevedeva l’erezione di una corte porticata di forma quadrata; non fu possibile tuttavia trovare un accordo con i proprietari degli immobili circostanti per cui l’architetto ripiegò verso il semplice ampliamento dello spazio in una corte poligonale irregolare.
Tra il 1939 e il 1942 l’intero complesso venne sottoposto ad un profondo restauro che ebbe il merito di restituire l’originale planimetria e struttura muraria interna del sacello di San Satiro, del quale i pesanti interventi nel corso della sua storia avevano stravolto l’antico aspetto.

Cosa vedere

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Il finto coro

Il finto coro

Uno dei principali ostacoli alla realizzazione di un impianto monumentale era la mancanza di spazio per la realizzazione del coro, dal momento che lo spazio alle spalle del transetto era occupato dalla contrada del Falcone. Il problema fu brillantemente risolto dal Bramante mediante la realizzazione di rilievi e modanature in cotto successivamente dipinti a formare una fuga prospettica che simulasse in 97 centimetri di profondità uno spazio pari ai bracci del transetto di 9,7 metri ispirata ai precedenti studi dell’Incisione Prevedari[39][40], diventando il punto di forza dell’edificio[41]: Il finto coro presenta uno spartito decorativo con volta a botte a cassettoni composta da tre arcate in maniera identica all’aula e termina nell’illusione prospettica in una controfacciata nelle cui parti laterali sono presenti due nicchie coronate da conchiglie, mentre nella lunetta è affrescato l’episodio miracoloso secondo cui il quadro della Madonna col Putto avrebbe sanguinato a seguito della coltellata di un giovane. Tale immagine è custodita nell’altare maggiore, a cui il finto coro fa da contorno. Le pareti sono decorate con nicchie probabilmente riprese dalla decorazione del vecchio duomo di Urbino[30]. La soluzione, considerata antesignana di tutti gli esempi di trompe-l’œil successivi, costituisce in realtà un esempio di stiacciato trasferito dalla scultura all’architettura. Nella sua perfetta costruzione prospettica, l’opera mostra l’influsso delle ricerche di Piero della Francesca, Donatello e Masaccio nel campo della rappresentazione illusionistica, mentre l’esecuzione potrebbe essere stata mutuata dai tabernacoli marmorei di Michele di Giovanni da Fiesole[12][42]. Il debito stilistico nel disegno prospettico appare molto chiaro dalle similitudini con la Trinità di Masaccio, ma soprattutto con la Pala di Brera di Piero della Francesca[43]. L’illusione prospettica del finto coro bramantesco, ampiamente citata e descritta nei trattati d’arte dell’epoca, fu successivamente ripresa dal Borromini nella realizzazione della Galleria prospettica di palazzo Spada[44].

Sacello di San Satiro

Sacello di San Satiro

Il sacello di San Satiro, chiamato anche cappella di Pietà dopo gli interventi rinascimentali, presenta una struttura con pianta a cella tricora sovrapposta ad un quadrato con colonne perimetrali: elementi che assieme ai frammenti di affreschi di epoca carolingia costituiscono il nucleo originario della costruzione[46]. Alcune delle colonne perimetrali, in pietra e ornate con capitelli corinzi, sarebbero state prelevate da edifici della città di epoca tardo-romana ed inserite nel sacello, mentre altre sono in cotto e risalgono agli interventi bramanteschi, così come le colonne alternamente in marmo rosso di Verona e marmo cipollino su cui poggiano gli archi rampanti posti a fianco delle volte angolari e il lanternino posto in sommità della struttura[47]. Sulla derivazione della caratteristica pianta esistono molte ipotesi: dall’oratorio carolingio di Germigny-des-Prés, a influssi bizantini o addirittura armeni; tuttavia l’ipotesi più accreditata è che il modello della pianta del sacello fosse una delle cappelle della milanese basilica di San Lorenzo. Schemi a pianta centrale tuttavia non erano rari per l’epoca in area lombarda e tra gli esempi più celebri di architettura derivata da San Satiro si può citare il battistero di Galliano a Cantù[48]. Tra le decorazioni coeve alla costruzione bramantesca si ha la Pietà, un gruppo di statue in terracotta dipinta, di Agostino Fonduli. Il gruppo consta di quattordici figure eseguite con la tecnica del panneggio bagnato[49]. La scena si focalizza sul Cristo morente tra le braccia di Maria, forse ripreso dallo scomparso tramezzo affrescato della chiesa di San Giacomo della Cerreta a Pavia di Vincenzo Foppa, schema non comune nell’Italia settentrionale dell’epoca tuttavia giustificato da un ripreso interesse verso il culto mariano di quegli anni per cui era stato costruito il nuovo santuario. Lo schema complessivo dell’opera fu ripreso pochi anni più tardi nell’affresco delle Deposizione di Martino Spanzotti per la chiesa di San Bernardino di Ivrea e nel Compianto nella chiesa di Santa Maria delle Grazie a Varallo di Gaudenzio Ferrari[50]. L’esecuzione fu tra i primi lavori dello scultore padovano a Milano, come testimoniato dallo stile caricaturale e ruvido influenzato solo in minima parte dal classicismo milanese dell’epoca, come invece si nota nelle decorazioni della sagrestia bramantesca[51]. Al contrario, il gruppo della Pietà testimonia ancora l’aderenza a modelli del rinascimento padovano, come testimoniato dalle figure di San Giovanni e di due Angeli ripresi da un’incisione del Seppellimento di Cristo di Andrea Mantegna, così come la similitudine tra il realismo Cristo morto e quello del Cristo del gruppo scultoreo. Non mancano infine debiti stilistici nei confronti di Donatello nella realizzazione della Maddalena, forse modellata sulla Maddalena penitente per il battistero di San Giovanni di Firenze: stile probabilmente appreso dal padre, fonditore di bronzo, che collaborò con Donatello nei cantieri della basilica di Sant’Antonio di Padova. Nel suo complesso lo stile realistico e la caratterizzazione degli stato d’animo dei personaggi furono precursori degli studi più approfonditi che avrebbero caratterizzato lo stile di Leonardo negli anni successivi[52]. Nel sacello sono infine presenti dei frammenti di affreschi databili tra il IX e il XIII secolo riscoperti durante un intervento di restauro della cappella tra il 1939 e il 1940[53]. La decorazione a fresco, che ricopriva in origine tutte le superfici del sacello ad eccezione delle colonne, mostra una spiccata influenza di modelli bizantini: tra i frammenti superstiti si possono osservare principalmente Santi e due rappresentazioni della Croce[54]

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