Subito dopo il martirio (1252) e la canonizzazione del martire domenicano Pietro da Verona, nei pressi del luogo della sua uccisione, in suo ricordo e in suo onore, grazie all’iniziativa di alcuni religiosi umiliati, fu eretta una cappella ed un hospitale destinato ad accogliere viandanti e pellegrini.
L’area detta di San Pietro è infatti citata in numerose pergamene tra il 1252 e il 1300.
Nel corso del secolo XIV agli Umiliati subentrarono i Domenicani: con decreto del giugno 1373 Papa Gregorio XI concesse a detto Ordine la facoltà di «ricevere, fondare, costruire e ritenere in perpetuo la chiesa e l’ospizio di San Pietro Martire».
Il desiderio dei Domenicani di dotare il loro convento di un edificio più grande e consono di quello esistente, anche sotto l’aspetto architettonico e decorativo, si concretizzò grazie all’intervento del conte Giulio Arese nel corso del Seicento, con la fondazione di un comitato, l’Opera Pia Arese. I lavori edilizi di costruzione della nuova chiesa e del nuovo convento ebbero inizio nel 1660 e terminarono nel 1685, sempre grazie alla generosità degli Arese, su progetto di Girolamo Quadrio o forse, in una fase iniziale, di Francesco Castelli.
Con l’avvento della Repubblica Cisalpina, nel 1798, i Domenicani lasciarono definitivamente il convento soppresso, che venne acquistato, insieme alla chiesa, nel 1818 dalla Curia di Milano per accogliere il Seminario Minore Arcivescovile. All’inizio del ‘900 risale la costruzione della cripta – rinnovata nella decorazione nel 1952. Nella cripta è stato collocato un altare con la teca che racchiude il falcastro utilizzato da Carino da Balsamo per uccidere san Pietro Martire nel 1252.
Nel 1923 la chiesa assunse il grado di parrocchiale, ora trasferito ad una chiesa più recente, poco distante. Dopo l’ultima grande ristrutturazione degli spazi conventuali l’edificio ha ospitato il biennio teologico del Seminario. Attualmente è sede del Centro Ambrosiano di documentazione e studi religiosi
L’attuale edificio in stile barocchetto risale nelle sue grandi linee al XVII secolo (1660-1685).
La facciata della chiesa è caratterizzata dalla sovrapposizione di due ordini architettonici, separati da una trabeazione aggettante; conclude la facciata un timpano triangolare che ne sottolinea il corpo centrale, affiancato a sud dalla torre campanaria. Una ulteriore torre, gemella a quella esistente, doveva completare il prospetto della chiesa, ma è stata costruita solo fino all’altezza d’imposta del timpano. L’ordine architettonico individua in facciata cinque assi verticali, dei quali i più esterni risultano leggermente arretrati, mentre quello centrale si protende verso l’esterno mediante un pronao sorretto da due pilastri e concluso da un timpano curvilineo che interrompe la trabeazione del primo ordine.
L’interno della chiesa ha impianto semiquadrato coperto da una volta ribassata. Dal corpo centrale si estendono quattro bracci poco profondi e coperti da volta a botte che lo uniscono ai locali di pianta quadrangolare posti agli estremi del blocco (che in controfacciata corrispondono alle due torri).
Lungo i lati nord e sud, oltre i bracci, si aprono due cappelle dedicate alla Vergine del Rosario e a San Domenico, con pregevoli affreschi, i più antichi dell’edificio.
Nel presbiterio l’altare – articolato nella parte posteriore attorno alla cappella devozionale di San Pietro martire – è novecentesco e sovrastato da una cupola impostata su un tamburo molto alto.
L’aula della chiesa è coperta da una cupola affrescata da Edoardo Volonterio agli inizi del ‘900, fortemente ribassata.
La chiesa contiene opere di alcuni dei principali artisti attivi a Milano nella seconda metà del XVII secolo, quali Antonio Busca (cappelle di San Pietro martire e Madonna del Rosario), Giuseppe Nuvolone, Agostino Santagostino (tela nel coro), i Montalto, Giovanni Battista Costa (tela nel coro) e lo scultore Dionigi Bussola (statua nella cappella della Madonna del Rosario).
Il luogo del martino
Il paese di San Pietro Martire, si può dire senza paura di sbagliare, deve la sua notorietà a quel 6 aprile del 1252, quando fra Pietro da Verona, Priore del Convento domenicano di Como, cadeva vittima degli eretici di Milano, città nella quale si stava recando. Prima di allora il territorio fra Seveso e Meda era in buona parte occupato dai boschi, e la scarsa popolazione si raccoglieva in quattro o cinque cascinali, di cui il principale era la villa e il castello di Faroa, che dava il nome al territorio. Sulla vasta zona, che comprendeva anche il paese di Barlassina, esercitavano la signoria le Benedettine di San Vittore di Meda. Sul luogo del martirio di fra Pietro ben presto si raccolsero alcuni religiosi, i quali vi costruirono una casa. Infatti una pergamena del 28 ottobre 1252, scritta in latino, reca che “i fratelli Leonardo e Guidetto, figli del defunto Aliprando di Sovico, hanno venduto a fra Uberto Guarengo di Milano e a fra Ottobello Asnago di Barlassina, ministri e superiori dell’ospizio o casa che viene costruita in territorio di Faroa, ad onore e ricordo dei venerabili defunti fra Pietro da Verona e fra Domenico, dell’Ordine dei Predicatori, sul luogo dove questi religiosi di santa memoria furono uccisi dagli infedeli per la fede di Cristo e subirono la morte con il martirio”. E dal momento che il Papa Innocenzo IV il 9 marzo 1253, a Perugia, aveva svolto la cerimonia della canonizzazione di fra Pietro da Verona e il 24 dello stesso mese, con la Bolla “Magnis et crebris”, lo aveva annoverato nel numero dei santi e nel calendario liturgico, presto sul luogo del martirio, accanto alla casa già esistente, sorse una chiesa. Infatti in una pergamena del 23 dicembre 1253, redatta in latino, si legge: “Il signor Gerardo Maderna, i suoi nipoti Guidotto e Ugorino, di Cesano, hanno firmato l’atto di donazione a fra Pietro da Binzago in favore e vantaggio della chiesa di San Pietro Martire, che è edificata sulla strada canturina, (…) da accettarsi in nome di quella chiesa per amor di Dio e del Beato Pietro Martire e a salute dell’anima loro”. È interessante notare l’ubicazione della chiesa di San Pietro Martire: “sulla strada canturina”. L’indicazione è fornita anche dal già menzio¬nato documento del 28 ottobre 1252 e da uno del 30 marzo 1255. Questa strada, o meglio viottolo di campagna, non va confusa con la strada comasina, che percorre la destra del fiume Seveso. La strada canturina invece partiva da Cantù, scendeva a Figino, pas¬sava poi per Novedrate, Cimnago, Mocchirolo e nel territorio di Faroa.
Altra testimonianza sull’esistenza di una chiesa dedicata a San Pietro Martire è quella fornita da Goffredo da Busserò nel “Liber notitiae”, risalente al 1300 circa, il quale assegna alla località di Faroa cinque chiese, e precisamente: San Pietro Martire, Santa Maria, Sant’Andrea, San Gaudenzio e San Nazzaro.
Gli Umiliati
I religiosi che si stabilirono sul luogo del martirio di San Pietro appartenevano all’ordine degli Umiliati; ce lo assicurano le pergamene dell’epoca e in particolare un documento del 29 dicembre 1303. È da ritenere che essi provenissero dalla casa degli Umiliati di Pozzollo, allora esistente a Meda e assai importante per possedimenti e commerci.
Gli Umiliati di San Pietro appartenevano al secondo ordine, erano cioè laici che emettevano i voti religiosi, vivevano in comunità ed erano retti da un ministro o prelato.
Nella chiesa di San Pietro Martire le funzioni liturgiche erano ce¬lebrate da un sacerdote, il quale, per il suo ministero, veniva sti¬pendiato dagli Umiliati. Presso la chiesa poi vi era anche un chio¬stro riservato alle donne, appartenenti allo stesso Ordine degli Umi¬liati, come risulta da un atto del 21 giugno 1304.
Non si sa fino a quando gli Umiliati rimasero a San Pietro. Nel catalogo delle case dell’Ordine, steso nel 1344, non è elencata né la casa di San Pietro, né quella di Meda. Anzi una pergamena del 14 gennaio 1317 riferisce che in quel giorno avvenne la fusione della casa di Meda con quella di San Bartolomeo, presso San Biagio a Monza. La casa di San Pietro può aver seguito, almeno in parte, la sorte di quella di Meda. Ho detto in parte, perché in una ordi¬nanza ducale di Bernabò Visconti del 21 giugno 1378, confermata da un’altra di Gian Galeazzo Visconti del 20 luglio 1378, si afferma che i Padri Predicatori, stabilitisi di recente a San Pietro, erano esentati da una tassa che prima pagavano “certe Umiliate del predetto luogo”. Ciò vuol dire che per un po’ di tempo, o forse fino all’arrivo dei Padri Domenicani, nella casa di San Pietro stettero da sole le religiose Umiliate.
I Domenicani a San Pietro
Era naturale che i Domenicani, che avevano fin dal 1288 a Monza un convento ed una chiesa dedicati a San Pietro Martire e che a Milano, in Sant’Eustorgio, ne custodivano il corpo, desiderassero raccogliersi anche nel luogo del suo martirio. Il primo scritto, in cui si accenna alla loro presenza, è del 13 novembre 1371. Si tratta di un atto di procura, steso alla presenza di un notaio durante il capitolo (la riunione dei Frati), che si è tenuto “al suono della campana e come di consueto, nella chiesa di San Pietro Martire dei signori Frati Predicatori, situata nel territorio di Faroa”.
Come “sindaco procuratore” fu eletto fra Giovannino da Greco, il quale con fra Ruggerio da Casate, priore, e fra Pietro da Mila¬no, lettore, costituiva l’intera comunità. Forse i Domenicani, nel 1371, erano da poco subentrati alle Umiliate.
Non si conosce tuttavia a quale titolo, se cioè per acquisto o per donazione, i Domenicani o Frati Predicatori si siano stabiliti nel convento di San Pietro Martire. Si sa invece come, con bolla dell’11 giugno 1373, datata da Avignone in Francia, il Papa Gregorio XI concesse ai Domenicani la facoltà di “ricevere, costruire e ritenere in perpetuo” la chiesa e l’ospizio o convento di San Pietro Martire, forse togliendo così di mezzo qualche questione intervenuta tra gli Umiliati e i Frati Predicatori, i quali vedevano la necessità di intraprendere importanti lavori. Infatti il convento, nel già citato documento di Gian Galeazzo Visconti, del 1378, è detto “molto povero e non ancora del tutto edificato”.
I Domenicani dovettero quindi, se non edificare di nuovo, almeno riparare e completare il convento, che rimase tuttavia di modeste proporzioni. Infatti dai documenti risulta che i Frati non avevano neppure un locale adatto per riunirsi in capitolo. I Frati inoltre non erano molti: nel 1371 erano tre, nel 1441 cinque, nel 1545 nove, di cui due non sacerdoti, e nel 1558 cinque.
Forse dovettero eseguire dèi lavori anche nella chiesa, la quale tuttavia rimase immutata nelle sue dimensioni fino al 1660; misurava circa 18 metri per 9.
Nel secolo XV i Domenicani recarono due vantaggi al convento. Nel 1404 ottennero da Caterina Visconti, vedova del duca di Milano Gian Galeazzo, di poter scavare un piccolo canale (la roggia Traversi) che recasse un po’ di acqua del fiume Seveso al convento, onde poter irrigare l’ortaglia. Il 1° maggio 1441 poi ottennero di non versare più al monastero di San Vittore di Meda il tributo annuale di due moggia di mistura di segale e miglio. Dal che si deduce che i primi terreni occupati dagli Umiliati di San Pietro erano del monastero di Meda.
Nei secoli seguenti, attraverso donazioni e acquisti, il convento aumentò i suoi possedimenti. È sufficiente ricordare che nel 1784 i Domenicani, oltre il convento e le 65 pertiche dei campi annessi, possedevano 1705 pertiche di terreno, distribuite nei comuni di Seveso, Barlassina, Meda, Birago e Cabiate.
Il nuovo santuario e il nuovo convento
Il secolo XVII segnò un momento decisivo nella storia della chiesa e del convento di San Pietro Martire. Il merito fu del conte Giulio Arese e, più ancora, di suo figlio Bartolomeo.
Gli Arese erano una famiglia della nobiltà milanese; avevano parecchie proprietà a Milano, nel milanese (in particolare a Seveso e a Cesano Maderno) e nel pavese. Il nome degli Arese, in particolare di Bartolomeo, è legato alla chiesa e al santuario di San Pietro Martire, alla chiesa parrocchiale e al palazzo di Cesano Maderno, alle chiese di Mazzo e di Lacchiarella.
Il 3 giugno 1618 il conte Giulio Arese donò al convento di San Pietro Martire 18 mila lire imperiali, una somma considerevole per quei tempi, riservandosi di precisare in seguito come si dovesse impiegare. Il 24 marzo 1626 stabilì che con quei soldi si acquistassero dei possedimenti nel Ducato di Milano. Nel testamento del 3 febbraio 1627 dispose che la metà della rendita di quei possedimenti fosse usata per l’acquisto di altri beni immobili, mentre l’altra metà fosse destinata alla chiesa di San Pietro e per gli studi dei giovani Frati del convento. Nasceva così la Fondazione Arese, amministrata da una commissione di 5 laici.
Morto il conte Giulio nel 1627, solo nel 1662 il figlio Bartolomeo dava attuazione alla volontà paterna, iniziando la nuova chiesa e il convento di San Pietro.
Ma la somma occorrente sorpassò di gran lunga le capacità finanziarie della Fondazione Arese. Il conte Bartolomeo allora, con gesto munifico, si accollò tutta la spesa. Agli scopi previsti da suo padre per la Fondazione, il conte Bartolomeo volle aggiungerne due altri: quello di mantenere nel convento un maggior numero di Domenicani, e precisamente 17, di cui 10 sacerdoti, 3 novizi e 4 laici; ed inoltre di tenere una “specieria” con l’obbligo di somministrare i medicinali ai poveri di San Pietro, Baruccana, Seveso e Cesano, i quali però in tutto non dovevano superare il numero di 40.
Iniziati i lavori della chiesa e del convento nel 1662, non furono ultimati che nel 1685, dieci anni dopo la morte del conte Bartolomeo. Furono rasi al suolo tutti i vecchi edifici e, su disegno dell’architetto Girolamo Quadrio, vennero costruiti per intero il convento e la chiesa.
Girolamo Quadrio, milanese, prestò la sua opera nel duomo di Milano dal 1659 al 1677. La sua realizzazione più insigne è il campanile di S. Stefano a Milano.
Le nuove costruzioni
L’ossatura esterna del nuovo convento era in tutto simile all’attuale (ognuno dei quattro lati dell’edificio misura 84 metri all’esterno e 62 all’interno, ciascuno con il porticato con 13 archi in cotto); diversa invece era la sistemazione interna. Il grande cortile era tenuto a giardinetti ed era più basso del pavimento dei portici, i quali verso di esso erano chiusi da un parapetto di mattoni; ai quattro angoli c’era una scala di sei gradini. Le celle dei Frati e le diverse sale vennero fornite di mobili e di quadri.
Maestosa riuscì la chiesa, in stile barocco, quattro volte più grande della precedente, lodata per l’armonia delle parti e lo slancio della volta. Il conte Arese la dotò di numerose e ricche suppellettili, tra le quali sono da ricordare gli armadi per la sagrestia, il coro, i paramenti sacri, i candelieri d’argento, la custodia pure d’argento della reliquia del coltello e la statua della Madonna del Rosario in marmo di Carrara, opera dello scultore Dionigi Bussola. Il conte poi lasciava alla Fondazione l’obbligo di porre nella chiesa un organo, di mettere sul campanile l’orologio ad uso non solo del convento, ma anche dei vicini, e di porvi tre campane nuove. Non si sa se l’organo venne subito installato; le campane invece furono collocate sul campanile nel 1684. Il conte Arese poi volle che tutto il giardino, prato e castagneto adiacenti al convento, fossero recintati con un muro.
Il secolo XVIII
I Frati del convento, tra sacerdoti, novizi e laici, dovevano essere 17, dei quali uno era incaricato della chiesa e della sagrestia, due erano riservati per le confessioni, uno per la predicazione, uno era organista, e un altro, laico, era farmacista.
Nelle feste di precetto un Frate andava a celebrare la S. Messa nella chiesetta di San Clemente a Baruccana.
La farmacia venne gestita dai Domenicani fino al 1741, anno in cui la Santa Sede lo proibì. La gestione allora passò ad un privato, un certo Domenico Cattaneo di Milano.
Un momento difficile per i Domenicani fu quello degli ultimi decenni del ’700, soprattutto a livello politico. Il ducato di Milano era sotto la sovranità dell’imperatore d’Austria. Alla corte di Vienna si facevano strada le idee illuministe e soprattutto una pretesa di ingerenza dell’autorità civile nelle questioni ecclesiastiche. Ciò fu particolarmente evidente dal 1780 al 1790 con l’imperatore Giuseppe II. I Domenicani passarono tra gli ordini religiosi solo tollerati. I loro beni furono assoggettati all’amministrazione dello Stato; ai Frati furono imposti obblighi e restrizioni.
Anche gli amministratori dell’Opera Pia di San Pietro Martire o Fondazione Arese temettero che l’istituzione da loro retta dovesse subire la riforma generale dei luoghi pii; quindi, per eludere la legge, esclusero che tra gli scopi dell’Opera Pia ci fosse quello di somministrare medicinali ai poveri e dichiararono che tutti i suoi redditi erano per la chiesa di San Pietro Martire e per gli studi dei Frati Predicatori.
La soppressione
Ma le condizioni dei Domenicani peggiorarono ancora quando il 15 maggio 1796 i francesi entrarono in Milano e vi proclamarono un governo provvisorio, sostituito dalla Repubblica Cisalpina il 9 luglio 1797.
Il 10 giugno 1796 venne imposto l’inventario di tutti gli oggetti d’oro e d’argento della chiesa e del convento. In conseguenza di ciò i Domenicani dovettero versare al governo repubblicano di Milano, quale contributo militare, la somma di lire 7.600 e l’11 gennaio dell’anno seguente furono tenuti a consegnare alcuni arredi sacri in argento. Per questi ed altri fatti, si può immaginare con quale stato d’animo, il 22 giugno 1797, i Domenicani della Provincia Lombarda si siano radunati a San Pietro per il loro capitolo provinciale!
Un anno dopo, la tempesta si rovesciava sopra di loro. Infatti il 4 agosto 1798 venne intimato ai Frati di lasciare entro due mesi il convento e il santuario di San Pietro Martire, i quali venivano dichiarati, con gli altri beni di loro proprietà, dominio dello Stato. Per nascondere l’odiosità della soppressione, i Domenicani di San Pietro vennero incorporati a quelli di Como. Il 1° ottobre il ministro degli Interni Guicciardi concesse che quattro Frati anziani, che ne avevano fatto richiesta, potessero rimanere a San Pietro fino a che non si fosse deciso in modo diverso.
Tutti i beni, mobili e immobili, vennero confiscati e la maggior parte di essi venduti, fatta eccezione per il convento, la chiesa e l’ortaglia. Ai quattro religiosi rimasti fu concesso di abitare nel lato ovest del convento, lasciando il resto dell’edificio come caserma per le truppe di passaggio. Come acquirente delle terre e delle case coloniche si presentava all’inizio del 1799 Ercole Salisstagstein. Poco tempo dopo, essendo stata la Lombardia occupata dalle truppe austro-russe, l’Amministrazione Arese, chiamata ora Opera Pia Arese, approfittando del decreto del 1° agosto 1799, che restituiva alle Congregazioni religiose soppresse dai francesi quei beni che non erano ancora stati venduti dal Demanio, prendeva possesso del convento e affittava l’ortaglia ai fratelli Giosuè e Ferdinando Orsenigo. L’11 novembre 1802 poi l’Opera Pia dava in affitto al Salisstagstein i rustici annessi al convento. Non molto tempo dopo, certo prima del 1817, al Salisstagstein subentrò nella proprietà dei beni dei Domenicani il dott. Antonio Maderna, padre di quell’ing. Augusto Maderna, che, verso il 1900, lasciava lo stesso patrimonio all’Ospedale di Desio. Nel 1924 l’Ospedale vendeva la proprietà ai singoli affittuari, fatta eccezione di un appezzamento di 11 pertiche, che veniva ceduto alla parrocchia di San Pietro per la costruzione della Scuola Materna.
Gli inizi del Seminario
Dei quattro Frati ospiti del convento, alla fine del 1818 non c’è più traccia: probabilmente erano morti tutti per vecchiaia. Al loro posto c’erano altri quattro ex-Domenicani. Infatti, per mantenere il servizio religioso nel santuario e a Baruccana, l’Opera Pia, al mancare di un religioso, lo sostituiva con un altro, richiedendolo o al convento di Como, o ad altre case dell’Ordine.
Nel frattempo però, nel novembre del 1818, nell’ex-convento di San Pietro si era inaugurato un nuovo Seminario diocesano. Primo Rettore fu don Pietro Reschina.
L’apertura di un nuovo Seminario veniva a colmare un bisogno effettivamente esistente in Diocesi. Infatti nel 1787, a motivo dell’ingerenza del governo austriaco, si era dovuto rinunciare al Seminario di Celana, nel bergamasco, territorio appartenente alla Repubblica di Venezia. Solo nel 1795 era stato consentito di acquistare il vecchio convento dei Cistercensi, situato a Castello di Lecco, e di trasformarlo in Seminario. Ma non bastava per il numero degli alunni.
Tornata normale la situazione, dopo il periodo napoleonico, e, crescendo il numero delle vocazioni, si pensò ad un nuovo Seminario e la scelta cadde sull’ex-convento di San Pietro Martire. La cosa non dispiacque all’Opera Pia Arese, dal momento che era diffic¬lissimo il ritorno dei Domenicani e poi anche perché, tra gli scopi degli Arese, c’era quello di favorire le vocazioni sacerdotali.
Le trattative furono condotte dal Priore dell’Opera Pia, Aurelio Della Torre Rezzonico, e dal Rettore del Seminario di Milano, don Luigi Vittadini. Nel 1817 i fratelli Orsenigo e il dott. Maderna, dietro richiesta degli amministratori dell’Opera Pia, rinunciarono ai terreni ed ai locali, di cui erano affittuari.
Il 3 giugno 1818, a rogito del notaio Paolo Sirtori, venne steso il contratto definitivo di enfiteusi. Con questo atto l’Opera Pia cedeva in perpetuo al Seminario l’ex-convento, la chiesa, il giardino, i rustici e l’ortaglia, nel complesso 83 pertiche di terreno, per il canone annuo di 800 lire italiane.
Il contratto prevedeva che, diversamente da quanto avevano disposto gli Arese, le riparazioni e le opere di manutenzione fossero a carico del Seminario. Alcuni locali poi erano lasciati all’Opera Pia, la quale li avrebbe affittati per continuare la farmacia. Altri ambienti poi, e precisamente quelli ad ovest, e nove pertiche dell’ortaglia erano destinati ai quattro Domenicani ancora presenti, fino alla loro morte. L’atto di enfiteusi prevedeva inoltre una dettagliata procedura, mediante la quale, una volta morti i Frati, dovevano subentrare nel servizio liturgico del santuario i sacerdoti del Seminario, dietro compenso annuo dell’Opera Pia.
I primi decenni del Seminario.
Con l’inizio del Seminario, l’ex-convento, per essere adatto alla nuova destinazione, dovette subire non poche modifiche nella sistemazione e distribuzione degli ambienti. Queste furono fissate fin dal 1817 dall’architetto civile Giuseppe Polak, il quale, coadiuvato da diversi ingegneri, le eseguì in diversi anni. Furono lavori impegnativi, se si confrontano i mutamenti prodotti, con le piante allegate all’atto di enfiteusi del 1818. Stando ad un’epigrafe del 28 giugno 1825, che si leggeva su una tavola di legno ora andata distrutta, si viene a conoscenza della visita al Seminario, effettuata dall’imperatore d’Austria Francesco I e dall’imperatrice Carolina di Baviera. Dalla stessa epigrafe risulta che i lavori in quell’anno fervevano ancora.
D’altra parte il lato ovest, riservato ai quattro Domenicani, non fu rammodernato che negli anni 1838 e 1839 dall’architetto Giacomo Moraglia, alla morte dell’ultimo religioso.
Il secolo XIX
Il periodo che va dal 1840 al 1860 fu anche per i Seminari milanesi uno dei più travagliati e difficili. In quegli anni infatti il desiderio di libertà e l’aspirazione all’indipendenza dallo straniero riempivano la mente e il cuore di tutti. Perciò il Governo imperiale austriaco vigilava anche sui Seminari e sugli educatori dei seminaristi, compiendo a volte indebite ingerenze all’interno del Seminario stesso.
La vulcanicità di quel periodo si fece sentire anche nel Seminario di San Pietro. Se ne ha la testimonianza nella rimozione di quasi tutti i Superiori, tra i quali c’era don Antonio Stoppani, avvenuta nell’estate del 1853. Erano colpevoli di aver parteggiato per gli insorti del 1848 e per i Piemontesi. In questo doloroso episodio appare chiara la rettitudine dell’operato dell’Arcivescovo Romilli, mentre risalta la parte che in esso vi ebbe la indebita ingerenza politica dei governanti austriaci.
Al Seminario di San Pietro è poi legato, se non il sorgere, lo svilupparsi del Collegio San Martino. Creato in San Martino di Mozzate nel 1865, ebbe come scopo di preparare vocazioni al sacerdozio. Ma in seguito ad una legge del 1867, lo stabile in cui aveva sede passò allo Stato. Allora, mediante un contratto d’affitto, stipulato con il Seminario, il Collegio si trasferì nel rustico annesso al Seminario di San Pietro, nel 1869. Ovviamente si dovettero eseguire lavori di restauro, ed in un primo tempo i ragazzi vennero ospitati in parte dei locali stessi del Seminario.
Alla guida del Collegio succedettero cinque Direttori, l’ultimo dei quali, don Giuseppe Asti, nel 1901, quando il Seminario ebbe bisogno degli ambienti, in cui era ospitato il Collegio, a causa dell’aumento dei seminaristi, trasferì la sede del Collegio stesso a Seregno, fondendolo con il Collegio Ballerini.
Il secolo XX
Nei primi anni del ’900 il Rettore del Seminario, don Luigi Vismara, spirito assai intraprendente, si dedicò molto all’abbellimento del Santuario, che era stato consacrato il 20 giugno 1899 dall’Arcivescovo Card. Ferrari, il quale veniva spesso a San Pietro dai suoi seminaristi. In seguito don Vismara, sotto l’altare maggiore, fece scavare una cripta e vi collocò un altare con la reliquia del coltello; sulla parete di fondo fece affrescare dal pittore Romeo Rivetta il martirio di San Pietro.
Negli anni 1901 e 1902 poi fece decorare tutta la chiesa, con stucchi e con pitture, dal Volonterio. Il successore di don Vismara, don Giuseppe Asti, continuò i lavori intrapresi, rinnovando nel 1907 il pavimento.
Di un’operazione di ampliamento e di restauro dell’edificio del Seminario si sentì il bisogno nel 1927: i seminaristi aumentavano ed era necessario un ambiente più vasto. Il progetto, preparato dall’ing. Giovanni Maggi, che poi diresse anche i lavori, impose prima il rialzo del lato ovest e in parte di quello sud, poi, qualche anno dopo, del lato est.
Nel frattempo, prima di procedere ai lavori di rialzo, visto il desiderio espresso dall’Arcivescovo Card. Tosi, si procedette alla risoluzione dell’enfiteusi tra il Seminario e l’Opera Pia Arese. L’atto fu stipulato il 26 ottobre 1928, a rogito del dott. Angelo Moretti, dal Presidente dell’Opera Pia, principe Gilberto Borromeo, e dal Rettore Maggiore del Seminario di Milano, Mons. Francesco Petazzi. Il Seminario si impegnava a versare, come estinzione dell’enfiteusi, il capitale nominale di lire 1000 in consolidato al 5%. Un’altra innovazione notevole si ebbe con la costituzione della Parrocchia di San Pietro Martire. Il Seminario aveva sempre avuto l’obbligo di celebrare la S. Messa nel Santuario anche per la popolazione della frazione di San Pietro. Lo sviluppo notevole del rione aveva fatto nascere l’esigenza di una nuova Parrocchia. L’intenzione, maturata con il Card. Ferrari, annunciata dal Card. Ratti, fu realizzata nel 1923 dal Card. Tosi. Egli dispose che, in attesa delle condizioni richieste per la costituzione giuridica della Parrocchia, questa avesse il titolo di Delegazione Arcivescovile. Stabilì pure che la cura parrocchiale si svolgesse nel Santuario. Il primo Delegato Arcivescovile fu il Rettore del Seminario mons. Asti; ma nel 1926, vista l’inopportunità della decisione, venne sostituito nella guida della Parrocchia da P. Giovanni Masciadri, degli Oblati Vicari, al quale vennero assegnati come abitazione i locali dell’ex-farmacia. In seguito venne nominato Delegato Arcivescovile don Luigi Garzoni, il quale, nel 1963, divenne il primo Parroco e, nel 1969, trasferì la sede della Parrocchia nella nuova chiesa parrocchiale.
Anche in tempi più recenti vennero eseguiti lavori di ampliamento e di rammodernamento del Seminario. Ricordiamo soltanto la cosiddetta Casa dei Fratelli Oblati (1935), il rialzo del lato nord (1959), la demolizione di parte del vecchio collegio di San Martino e l’edificazione di una nuova ala (1964),
In occasione del settimo centenario della morte di san Pietro (1952) si provvide a rinnovare la decorazione della cripta del Santuario; le pareti e la cupola furono ornate di mosaici e marmi. Sulla parete di fondo fu posto un quadro, opera di Vanni Rossi, raffigurante il santo martire.
In seguito, nel 1971, si provvide anche al restauro della facciata e del tetto del Santuario.
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1. Accessibilità disabili
La struttura è accessibile alle persone con disabilità dall’ingresso di Via San Francesco d’Assisi 3 con opportunità di ampio parcheggio) oppure da Via San Carlo 2
2. Come arrivare
In auto: Per chi viene da Milano sulla superstrada Milano-Meda: uscita Seveso oppure uscita Meda – In auto:
Per chi viene da Milano sulla superstrada Milano-Meda: uscita Seveso oppure uscita Meda
In treno: Ferrovie Nord da Milano fermata Seveso (da non confondere con la fermata Seveso Baruccana che è stazione di transito per chi arriva con il passante da Monza-Seregno
3. Parcheggi
Ampio e comodo parcheggio interno gratuito con ingresso da via San Francesco d’Assisi 3 – suonare il campanello della portineria
Il parcheggio di via San Carlo ha posti limitati a disco orario
4. Punti di ristoro
Al piano terra del quadriportico interno sono disponibili distributori automatici e servizi igienici. Seguire le indicazioni di cartellonistica o chiedere in portineria
5. Crediti e bibliografia
Crediti fotografici – Foto Volpi
In portineria è possibile acquistare copia del volume illustrato Antico e nuovo – Il seminario di San Pietro Martire a Seveso